venerdì 19 luglio 2013

Cultur@mi intervista Vincenzo Mascoli







Mettersi davanti ad un’opera di Vincenzo Mascoli significa venire risucchiati in un vortice; provare a chiudere gli occhi e rendersi conto che uno sguardo, una risata, delle gambe, una parola, un logo, una testa di Medusa, un colore sono inevitabilmente finiti nella tua testa e che stai già iniziando un viaggio personale di riflessioni, di ricordi e di attese e di perplessità.
L’arte di Mascoli va colta in un battito di ciglia, proprio come il click di una macchina fotografica. È arte in movimento, frenetica, caotica, straripante, smaniosa, ma è anche un attimo di quiete, di sollievo, di conforto.
La tela che diventa archivio pullulante di storia e storie, messaggi, volti e notizie sparsi in frammenti che sembrano schizzati o vomitati da una tv, una radio, un giornale o un social network, restituisce poi all’osservatore un essere umano, che, il più delle volte, ti guarda dritto negli occhi e sembra a volte sorridere a volte preoccuparsi di tutto il caos che ha alle sue spalle. Un caos colorato opposto alle maschere implacabilmente grigie che ci lasciano con un punto interrogativo.

 Cultur@mi ha incontrato Vincenzo Mascoli in occasione della personale “È tutto un gioco”, presso la Pinacoteca Civica di Cassano delle Murge.

 


 
Da dove nasce l’esigenza di sommergere lo sfondo della tela di strappi e ritagli? 

Credo mi appartenga e soprattutto faccia parte di un processo che mi ha spinto ad inserire, inserire ed inserire sempre di più.
È come quando approfondisci un discorso, leggi, guardi, osservi e poi ti vien voglia di studiare di più, di riosservare. Sono sollecitato da innumerevoli immagini e, con il passare dei giorni e dei miei lavori, tutto ciò non fa che aumentare, forse figlio di un tempo, di una società e di discorsi attuali.
 



Quei volti grigi di bambini, donne, uomini, emergono dal caos o ne sono inesorabilmente vittime inconsapevoli?

 È il gioco delle parti, ho l’esigenza quasi di non terminarli o di non perdere tempo , anche perché devo subito e assolutamente farne un altro.
Anche perché chi ti dice che sono terminati? Ma il discorso è un altro. Mi piace osservare lo spettatore che guarda le mie opere, mi piace capire cosa guarda, se l’immagine in primo piano, anch’essa banale senza ricerca e volutamente senza una fonte di ricerca, oppure lo sfondo che ci appartiene.
Perché è questo che fa sentire vicino lo spettatore; in fondo penso che ognuno ritrovi qualcosa che gli appartiene.


 
C’è una lotta invisibile tra lo sfondo rumoroso, ingarbugliato e le figure umane silenziose, bianche, come quelle di “With me” o “Yes I’am” ? 

Sai, l’uomo è li in silenzio mentre tutto accade; è decentrato e mi piace pensare che l’uomo sia posizionato in maniera decentrata, quasi figlio dell’ impotenza su tutto ciò che accade.

 



Hai davanti una tela bianca. Qual è il tuo primo tocco o pensiero sull’opera che sta per nascere?

Ho delle immagini, sento subito la necessità e immagino subito che la prima poi diventi serie, e poi sfoglio, prendo appunti che poi scrivo dietro la tela e, casualmente, il più delle volte e soprattutto in orari assurdi , la notte dipingo.
Devo lavorare, lavorare e lavorare, consapevole che quello che faccio è sempre migliorabile e superabile e questo mi serve perché devo solo produrre, ne ho l’esigenza maniacale.
Niente bozzetti o quasi, … dipingo e accatasto … poi li riguardo … ma pochissime volte li ricopro …. tutto mi serve per capire chi sono e soprattutto dove l’istinto può portarmi. Adoro l’idea che nei miei lavori ci sia una buona dose di istinto.



Ogni tua opera porta con sé un’impronta della nostra società. Qual è il tuo approccio al mondo?

Domanda difficile, dovrebbero rispondere le mie opere. In un paese meritocratico come il nostro (ovviamente ironizzo) bisogna lavorare con il sorriso e darsi senza se e ma, ad ognuno di noi spetta qualcosa, e chi ha più caparbietà qualcosina riceve, non può farsene una colpa se il termine “qual cosina” gli sta stretto e ritiene di poter avere di più. È figlio del nostro tempo e tutto quello che accade è figlio di un non lavoro.
Io spero mi spetti qualcosa. Cosa? Non mi frega ..vado per la mia strada, continuo a guardare, osservare e guardare chi guarda i miei lavori con scetticismo. Vedremo se il tempo mi darà ragione.
Poi, è sempre "Tutto  Un Gioco" e ti accorgi quanto sia veramente bello vivere e soprattutto quanto sono fortunato: “ Io Dipingo”.
 












 

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