giovedì 30 gennaio 2014

Reportage - 27 gennaio 2014 - "Jasenovac - omelia di un silenzio" - Dino Parrotta - Teatro Comunale di Corato (Ba)


La memoria delle vittime non conosce limiti temporali e spaziali, di razze o di religioni. Ogni efferata aggressione alla dignità delle persone e delle loro comunità  deve essere ricordata, perché non si ripeta mai più, perché non si riproduca sotto altre forme e altri nomi.
E così il 27 gennaio non può e non deve essere solo la Giornata della Memoria in relazione allo sterminio degli ebrei sotto il nazi-fascismo, ma anche quello di tutti gli uomini di ogni luogo ed ogni tempo che hanno subito, e continuano ancora a subire, la scellerata violenza da parte di altri "uomini". 


 Noi di Cultur@mi “non abbiamo dimenticato” e attraverso lo spettacolo scritto, diretto ed interpretato da Dino Parrotta, questa data si è riempita di altre anime straziate e ancora poco ricordate e conosciute qui in Italia, quelle delle migliaia di bambini, uomini e donne (Serbi, Croati, Rom, Ebrei, musulmani) trucidati dall'ala estremista  del nazionalismo croato ( gli Ustascia) capeggiata dal sanguinario Ante Pavelic, istituzionalizzatasi nello Stato Indipendente Croato.
Lo spettacolo “Jasenovac – omelia di un silenzio”, andato in scena sul palco del Teatro Comunale di Corato, è una stretta al cuore, un doloroso spasmo, un agghiacciante brivido.
Sin da subito ai nostri occhi non è permessa nessuna assuefazione, le immagini storiche che scorreranno sul fondo, per tutta la durata dello spettacolo, li colpiranno, senza alcun filtro, prepotentemente, con una violenza che “supera l’immaginazione umana”.
 
 
Dino Parrotta è solo su quel palco, ma da solo è allo stesso tempo carnefice e vittima, oppressore e oppresso.
Gli undici “quadri scenici” dell’intenso e drammatico monologo alternano, alle voci e alle figure disumane e sanguinarie del movimento ustascia croato, la disperazione e il tormento dei sopravvissuti.
Sono pochi gli elementi sulla scena, ma Parrotta riesce a caricarli di significato attraverso le varie modulazioni della sua voce che sa farsi, di volta in volta, urlo spietato e violento, come uno squarcio nella carne, o fievole  sussurro tremolante, come la fiamma di una candela.
Il suo corpo e la sua gestualità diventano riflesso di un’umana follia, che ha scatenato l’inferno in terra a colpi di ascia, e del corpo piegato ed inerme, di chi ha guardato negli occhi il male assoluto. 
 
 
 
Jasenovac fu il primo campo di concentramento costruito sistematicamente e il comandante era Miroslav Filipović-Majstorović, un frate francescano cattolico soprannominato “frate satana”. Egli fu capace di uccidere 250 bambini in sole dieci ore. La Chiesa si rese complice e si macchiò di un peccato impossibile e così doloroso da non poter essere immaginabile; un peccato così innaturale, da trasformare in strumenti di tortura e morte persino i rami dei salici, quegli stessi rami che - prima che tutto accadesse -come "dita" amorose, figlie dell'armonia del tutto, non sapevano che accarezzare l'acqua "innocente" dei fiumi.   Le parole dell'uomo non sanno trovare un termine adatto per descrivere tutto ciò che è accaduto, resta solo una voragine di vite umane che non è quantificabile, perché quando si parla di esistenze violentate, umiliate, private della loro dignità, che sia una o cento o mille i conti non tornano mai...



 
 
 
 


 





 

 

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